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venerdì 28 novembre 2014

Muffin al cacao amaro con amarene e cioccolato bianco

Scegliere questa ricetta non è stato per niente facile.
Avevo in mente di non fare un dolce, perchè tra qualche giorno sarà dicembre e si sa, con il Natale alle porte è inevitabile mettersi a sfornare un'infinità di biscotti da tuffare nel tè e nella cioccolata calda (potrebbe essere un indizio per la settimana prossima!).
Mi sono messa in cerca di un salato, ho trovato la ricetta giusta e ho fatto la lista degli ingredienti necessari. Fin qui la teoria. Poi, però, arriva il momento in cui la teoria si scontra con la pratica, il momento in cui la realtà bussa alla porta e tu forse non sei ancora pronta. Quando sono stressata, preoccupata o un po' giù, quando ho bisogno di rilassarmi e non pensare, in quei momenti devo fare un dolce. Ho bisogno di sapere che se mescoli insieme le dosi esatte di uova, farina, zucchero e latte si produrrà una magia. Fare un dolce significa dare forma ad una certezza.
Quindi oggi ho messo da parte la mia ricetta salata, ho aperto la dispensa, e sono nati questi muffin!

Muffin al cacao amaro con amarene e cioccolato bianco

La ricetta base è quella di Ernst Knam, la mia variazione prevede l'impasto al cacao invece che bianco e le amarene sciroppate e il cioccolato bianco all'interno.

Ingredienti (circa 15 muffin)
200 gr Farina 00
50 gr Cacao Amaro
125 gr Zucchero semolato
15 gr Lievito chimico in polvere
200 gr Latte intero fresco
3 gr Sale
90 gr Burro fuso
1 Uovo
Amarene sciroppate
Cioccolato bianco

In un'ampia ciotola unire il burro e l'uovo con il latte. A parte, mescolare la farina con il cacao amaro, lo zucchero, il lievito e il sale. Unire le amarene e il cioccolato bianco a pezzetti alle polveri, in modo che non affondino poi nell'impasto.
Aggiungere i liquidi alle polveri e amalgamare bene i due composti. Riempire gli stampini precedentemente imburrati e infarinati (i miei sono di silicone quindi salto questa operazione).
Cuocere in forno a 180° per circa 20 minuti.


martedì 25 novembre 2014

La vera vita di Sebastian Knight - Vladimir Nabokov

A volte va così: un nuovo libro mi si presenta in modo del tutto casuale e inaspettato.
Negli ultimi giorni diverse persone mi hanno chiesto come scelgo i libri di cui parlo sul blog, se c'è un criterio e se a volte descrivo libri già letti da tempo.
La risposta è che non c'è una regola precisa, se non quella di parlare solo ed unicamente di libri letti nei sette (o più) giorni che precedono la stesura del post. Non saprei fare diversamente, perchè le impressioni e le sensazioni che la lettura mi lascia non mantengono a lungo la loro nitidezza, e devono essere fermate subito.
Questo risponde alla seconda parte della domanda (sì, leggo davvero un libro nuovo a settimana), ma non spiega bene quale sia il criterio di scelta. Come già accennato, è del tutto casuale: vado in libreria, o su qualche sito tipo Amazon, o accetto le "imperdibili offerte" che mi arrivano tutti i giorni via email. Vago tra gli scaffali o le pagine web, guardo le copertine, apro, sfoglio, mi faccio un'idea. E poi compro, e inizio a leggere.
Il libro di oggi, invece, ha una storia un po' diversa. Roma Termini, ore 19.40: per ingannare il tempo in attesa della partenza del treno, Rachele e il suo benefattore (che per ora lasceremo anonimo) si aggirano tra gli scaffali di un'enorme libreria. L'anonimo benefattore preleva un libro dalla copertina gialla e sorride: "Di questo ho sentito parlare l'altra sera a cena. Te lo regalo, per il blog." Rachele prova a protestare, poi ad afferrare il libro per leggere la quarta di copertina. "Eh no, devi leggerlo senza sapere assolutamente niente!"
L'anonimo benefattore si avvia alla cassa, e mezz'ora dopo, sul treno, inizio a leggere.

Il libro della settimana è La vera vita di Sebastian Knight, un breve romanzo di Vladimir Nabokov, autore di San Pietroburgo naturalizzato statunitense e conosciuto per il suo Lolita, che io però non ho mai letto.

Il Sebastian Knight del titolo è un immaginario scrittore russo naturalizzato inglese (e direi che la somiglianza con la vicenda di Nabokov non è casuale), la cui "vera vita" viene raccontata, in seguito alla sua prematura morte, dal fratello.
Il genere, lo si capisce forse già da questa prima frase, è molto particolare. Nel descrivere la vita e le opere del fratellastro Sebastian, infatti, la voce narrante rivela che egli aveva la tendenza a stravolgere i generi letterari che sceglieva di adottare. È esattamente quello che Nabokov fa in questo romanzo, scegliendo di scrivere una biografia che in realtà altro non è che l'autobiografia della voce narrante nei suoi tentativi di scovare materiale per il libro sul fratello. Tutto chiaro? :)
Forse no, e il bello è che si potrebbe procedere oltre nella complicazione. La voce narrante, della quale non scopriremo mai il nome, dichiara a più riprese di non voler rivelare niente di sè, ma mentre si procede nella lettura è sempre più chiaro che egli in realtà sta scrivendo la propria autobiografia invece che la biografia del fratello. Il risultato finale è che farsi un'idea chiara delle due personalità che dominano questo libro è un'impresa praticamente impossibile. Le esperienze e i piani temporali si sovrappongono e la ricerca della "verità" sulla vita del fratello si trasforma in una raccolta di dettagli apparentemente insignificanti, ma che forse alla fine costituiscono il senso della vita.
Questa volta sono in dubbio, non saprei se consigliare questo libro (la cosa di cui sono sicura è che si tratti di un'ottima edizione e di un'ottima traduzione, e non capita spesso).
L'ho trovato difficile, estremamente denso e in un certo senso povero di contenuto. In alcuni momenti avevo la chiara impressione che meritasse la fatica di leggerlo, in altri annaspavo in cerca del significato e mi rendevo conto di aver bisogno di rileggere tutta la pagina per capirci qualcosa. Quindi lascio aperta la questione, e preferisco concludere con una citazione che a me è piaciuta molto e invita a riflettere sull'importanza dei dettagli e degli istanti della nostra vita:

"Adesso, quando era troppo tardi, e i negozi della Vita erano chiusi, rimpiangeva di non aver comprato un certo libro che aveva sempre desiderato; di non aver mai visto Tatsienlu, nel Tibet, o udito gazz blu ciarlare in mezzo a salici cinesi; di non aver riso all'insulsa barzelletta raccontata da una donna brutta e timida quando nella stanza nessuno aveva riso; di aver perso treni, allusioni e occasioni; di non aver dato la moneta che aveva in tasca a quel vecchio violinista di strada che suonava tremulo, solo per sè, in un certo giorno grigio in una certa città dimenticata."

venerdì 21 novembre 2014

Zuppa di cipolle e salvia con crostini al Gruyère

Lo ammetto, ho un problema con la Francia.
Per cominciare, i francesi non sono mai piaciuti. E fin qui, non me ne vogliano i francesi e gli amici residenti oltralpe, niente di strano: mi attengo al cliché (mi sembra proprio il post giusto per sfoggiare un francesismo).
Ma in fondo, perchè fermarsi al bieco luogo comune, al banale stereotipo? XD Si può fare di peggio, e in questo caso non me lo faccio ripetere due volte. Ebbene sì, perchè a me non piace neanche il francese. Sarà che lo trovo assolutamente impossibile da pronunciare, o forse che risveglia in me spiacevoli ricordi del tempo in cui ero costretta a studiarlo a scuola... Fatto sta che il suono della lingua francese mette a dura prova i miei nervi! Per qualche ragione tutti quei suoni morbidi e melodiosi e tutte quelle erre mosce turbano la mia psiche. E così, quando in diverse occasioni si finisce per parlare delle differenze linguistiche tra i vari paesi (sembra una follia, ma a me capita spesso!), si ripete, inevitabilmente, la seguente scena:

Persona X: "Ah, il francese! Ma avete notato che quando un uomo/una donna parla francese risulta incredibilmente più affascinante?"
Io: "Ehm, a me veramente fa schifo. Io adoro il tedesco!"
IMBARAZZANTE SILENZIO

D'accordo. Capisco che il tedesco possa non piacere, capisco tutte le simpatiche vignette che spopolano online e l'ormai vecchia storia secondo cui "i tedeschi sembrano sempre arrabbiati"...
Ma il mio è un amore spassionato, una cieca dedizione :) non saprei spiegarla altrimenti!

E veniamo adesso al terzo nodo della questione: Parigi. La Ville Lumière, la città più bella del mondo, la capitale degli innamorati. Ecco, parliamone.
Non sono completamente pazza, quindi non negherei mai la straordinaria armonia architettonica, la bellezza dei giardini, le strade ampie, l'atmosfera solenne, ma... C'è un ma! Dietro questa stupenda facciata si cela un'anima oscura, fatta di razzismo, classismo e problematiche sociali maldestramente nascoste, un po' come quei palazzi signorili con le fondamenta infestate di topi. È chiaro che la mia è una generalizzazione, e in quanto tale assolutamente parziale e attaccabile, ma è la sensazione che ho avuto camminando per la capitale francese.

E adesso uno si potrebbe chiedere: tutta questa presentazione, per poi realizzare una ricetta francese? Ebbene sì, perchè questa ricetta è un omaggio a un viaggio a Parigi. Ho cucinato con il sorriso, immersa nei ricordi: due donne, amiche di una vita, un fantastico compagno di viaggio (e amico anche lui! XD), due aerei, troppe ore in autobus, due amici (parigini d'adozione), tantissimi chilometri, cibo, risate, lacrime e litigate! Perchè in fondo non sono i luoghi che contano, ma le persone. E non c'è niente di meglio di un viaggio per imparare a conoscerle e a conoscersi meglio. 


Quella che segue non è proprio la ricetta originale della soupe à l'oignon, che prevederebbe una gratinatura in forno con un quintale di formaggio, ma una versione più light. Non poteva essere altrimenti, visto che ho preso la ricetta dal libro di Lorraine Pascale, che prima di diventare una famosa foodwriter, infatti, faceva la modella.

Zuppa di cipolle e salvia con crostini al Gruyère

Ingredienti (per 4 persone)
Per la zuppa
Olio di oliva
Una noce di burro
4 grosse cipolle
1 foglia di alloro
2 spicchi d'aglio
una manciata di foglie di salvia fresca
1 cucchiaio di farina
1 litro di brodo di manzo
una manciata di prezzemolo fresco
sale e pepe

Per i crostini
una baguette
75 gr di Gruyère
sale e pepe


Mettere sul fuoco un'ampia padella con l'olio e il burro. Pelare e affettare finemente le cipolle e metterle in padella con la foglia di alloro. Coprire e lasciar cuocere per circa 25 minuti, finchè saranno morbide. Nel frattempo tagliare finemente l'aglio e le foglie di salvia e metterle da parte.
Per i crostini, tagliare la baguette a fette piuttosto spesse (2,5 cm) e metterle sulla placca del forno ricoperta da carta forno. Grattuggiare il Gruyère e usarlo per ricoprire i crostini. Quando le cipolle saranno quasi pronte, infornare i crostini utilizzando la funzione grill, finchè non saranno dorati e il formaggio sarà sciolto (circa 5 minuti).
Non appena le cipolle saranno morbide, aggiungere l'aglio, la salvia, la farina e il brodo di manzo. Rimettere il coperchio. Quando la zuppa starà bollendo, rimuovere il coperchio e lasciar asciugare per 2-3 minuti. Aggiustare di sale e pepe.
Togliere i crostini dal forno, aggiungere il prezzemolo alla zuppa e servire

 


martedì 18 novembre 2014

Il valzer degli addii - Milan Kundera

Quando viaggio mi piace perdermi.
In una città o in un paese nuovo, mi piace mettere via la guida e la cartina e iniziare a camminare. Osservo la vita intorno a me, le persone che corrono al lavoro o chiacchierano sedute ad un caffè. Mi soffermo a contemplare le vetrine, a guardare i piccoli mercatini di quartiere, fuggendo il più lontano possibile da quelle strade dello shopping che ormai sono identiche in tutta Europa.
Mi siedo a bere qualcosa e ad assaggiare un dolce locale, poi riprendo a camminare. Cerco di assorbire la città con tutti i miei sensi: ascolto, annuso, tocco, assaporo, osservo.
E poi c'è il mio sesto senso: la lettura. Quando viaggio mi piace leggere un libro legato al luogo in cui mi trovo, che sia ambientato nella città nelle cui strade sto camminando o, meglio ancora, sia stato scritto da un autore locale.



 Il weekend scorso ero a Praga (questo spiega il ritardo in tutti i miei post), e la scelta dell'autore è stata ardua. Milan Kundera o Franz Kafka? Non me ne voglia Franz, ma non ero molto in vena di scenari inquietanti. Prima di partire, quindi, ho comprato un libro di Kundera, Il valzer degli addii.
Avrei potuto scegliere il più classico L'insostenibile leggerezza dell'essere, ma ho preferito optare per qualcosa di totalmente nuovo e di cui non sapessi niente. In più, sul retro della copertina era riportato uno stralcio di intervista all'autore che prometteva molto bene: a quanto pare, Il valzer degli addii è il romanzo che Kundera ha scritto "con più divertimento e più piacere".
Sul divertimento non sono così sicura, ma la lettura di questo romanzo è senza alcun dubbio un piacere. Mentre seguivo l'intrecciarsi delle vicende amorose, non riuscivo a smettere di pensare che lo svolgersi degli eventi assomgliasse ad una danza. Ci ho messo un po' per rendermi conto che in effetti il titolo suggeriva esattamente questa interpretazione, e che raramente capita di trovarne uno così azzeccato.
Mai come questa volta sarebbe ingiusto rivelare i dettagli della trama, perchè sarebbe un po' come vedere un trailer che anticipa tutte le scene migliori di un film. E il paragone con il cinema non è per niente casuale, perchè Kundera scrive con la sapienza di un regista, interrompendo la narrazione in modo da lasciarci con il fiato sospeso, incollati alle pagine per scoprire cosa succederà dopo.
Il romanzo è un mix perfetto di storia, riferimenti filosofici e letterari, psicologia e soluzioni narrative assolutamente geniali.
Se poi lo si può leggere in un caffè di Praga in un freddo pomeriggio quasi invernale, tanto meglio ;) Ma ovunque voi siate, ve lo consiglio!
A venerdì (e stavolta spero di non essere in ritardo),
 Rachele
 

venerdì 14 novembre 2014

Merluzzo in crosta di noci, limone e parmigiano di Gordon Ramsay

Questa volta sono riuscita ad abbinare la ricetta al libro, ma è stato facile. Non dovevo fare altro che scegliere una ricetta che avesse a che fare con l'Inghilterra. E a chi chiedere di un piatto britannico se non ad un inglese da tredici stelle Michelin? Sto parlando del già citato Gordon Ramsay :)

Fatta la mia scelta iniziale, mi sono lanciata nella lettura del suo Ultimate cookery course alla ricerca di una ricetta che fosse facile da realizzare (il periodo è molto incasinato) e soprattutto che non fosse un dolce, per cambiare un po'
 
Ecco, la ricerca non è stata facile. Sfogliavo le pagine entusiasmandomi per ogni singolo dolce proposto e ripetendomi "sonoinglesisonoinglesisonoinglesi" per ogni ricetta di pasta con pomodorini e olive presentata come la scoperta culinaria dell'anno
 
E poi è comparso. Il triste, inglesissimo merluzzo. Non fritto però, ma in crosta. Anzi, in una crosta che mi ricorda molto una delle ultime trovate della Findus, trovata che a me piace moltissimo ma sfiora i 6 euro per due porzioni e quindi fa un po' passare la fantasia
 
Quindi grazie, Gordon, per avermi svelato il "segreto" della Findus, facendomi risparmiare un po' ma soprattutto facendomi cucinare tutto con ingredienti freschi. Che alla fine la differenza si sente!

Merluzzo in crosta di noci, limone e parmigiano
da Gordon Ramsay's Ultimate cookery course

Ingredienti
Per 4 persone (io ho più che dimezzato perchè ero da sola)

1 filetto di merluzzo privato della pelle, circa 700 gr
olio extravergine d'oliva per condire

Per la crosta
75 gr burro
75 gr gherigli di noci
75 gr mollica di pane
buccia grattugiata di un limone
75 gr di Parmigiano grattugiato
sale e pepe

Per prima cosa preparare la crosta. Tagliare il burro a dadini e metterlo nel robot da cucina insieme alle noci, alla mollica, alla scorza di limone, due terzi del Parmigiano, sale e pepe e frullare finchè l'impasto non sta insieme.

Eliminare eventuali spine rimaste dal filetto di merluzzo e metterlo su una teglia da forno leggermente oliata, con la parte della pelle rivolta verso il basso (visto che il merluzzo doveva essere senza pelle, immagino che significhi "con la parte dove c'era la pelle rivolta verso il basso") e aggiustare di sale e pepe.

Distribuire uniformemente l'impasto della crosta sul filetto e metterlo in frigo a raffreddare per 20 minuti circa, in modo che la crosta si rassodi.

Preriscaldare il forno a 200°. Aggiungere il Parmigiano rimanente sulla crosta e infornare per 20-25 minuti, quando la crosta sarà dorata e croccante e il merluzzo cotto a puntino.



Sembra o non sembra quello della Findus? :p Va bene, la smetto di incensarmi! Scherzi a parte, la ricetta è veramente ottima, si fa in due secondi con ingredienti che di solito sono già in casa (filetto di merluzzo a parte, forse) e sprigiona un profumo di limone e noci fantastico. La prossima volta ci provo con le nocciole al posto delle noci... Come insegna Gordon, bisogna sperimentare! :)

A lunedì,
Rachele

lunedì 10 novembre 2014

La mia Londra - Simonetta Agnello Hornby

Tra me e Londra è stato amore a prima vista. Mi sono innamorata della città dal primo viaggio sul trenino che collega l'aeroporto di Stansted a Victoria Station, mentre con la fronte schiacciata sul finestrino osservavo la campagna trasformarsi in uno dei centri più caotici del pianeta.

Sono stata a Londra due volte, e in entrambe le occasioni camminavo per le strade con il cuore gonfio di gioia. Non so spiegare bene perchè, ma mi sentivo bene. I parchi, le librerie, i teatri, i locali, le persone, l'ordinata frenesia che pervade ogni cosa mi hanno conquistata.
A Londra c'è tutto il mondo, e la sensazione che tutto il mondo sia ben accolto. Non amo le città grandi, perchè in qualche modo finisco sempre per sentirmi spaesata, e la cosa mi crea inquietudine. Eppure, per Londra non è stato così. Ricordo che prima di andarci per la prima volta avevo letto la famosa affermazione di Samuel Johnson: "Chi è stanco di Londra è stanco della vita, perchè a Londra c'è tutto ciò che la vita può offrire." Dopo poche ore trascorse nella capitale del Regno Unito, non potevo non trovarmi d'accordo.

Dalla stessa frase di Johnson prende le mosse il libro di Simonetta Agnello Hornby, La mia Londra. L'autrice, nata e cresciuta in Sicilia ma naturalizzata inglese, ha vissuto a Londra per circa quarant'anni e nel libro racconta il suo rapporto con la città, a partire dal suo primo viaggio in Inghilterra a diciotto anni.
Una delle prime cose che mi ha colpita è una frase, che descrive la sensazione che ho sempre provato senza trovare però le parole per esprimerla: "avevo la sensazione di essere in una città sconosciuta, non estranea." Soddisfatta della scoperta, mi sono gettata a capofitto nella lettura. La mia Londra è un libro strano: un po' guida turistica, un po' saggio storico, un po' autobiografia e un po' una vera e propria dichiarazione d'amore per la città. Sia che si ami Londra sia che non la si conosca non si può non restare rapiti da come l'autrice lega i luoghi della città ai fatti della sua vita, senza far mancare riferimenti storici o all'attualità.
Non so se per naturale curiosità o inscusabile tendenza al gossip, ma entrare nelle vite degli altri attraverso le loro parole mi piace tantissimo e riesce sempre a catturare la mia attenzione. Credo che in un certo senso mi aiuti a mettere in prospettiva la mia vita e le mie esperienze.
Un altro aspetto decisamente interessante del libro è che lo si può leggere come una preziosa guida turistica. Quante volte, in una città nuova, ci si ritrova a desiderare di avere una guida del posto? Certo, se chiedessimo a dieci persone diverse probabilmente otterremmo in ogni caso consigli diversi. Ma non è forse questo il bello? La Londra del libro, come del resto emerge dal titolo, è la Londra dell'autrice. Nel mio prossimo viaggio, porterò con me i suoi consigli

 

venerdì 7 novembre 2014

"Amazing Apple Pie" di Jamie Oliver

La prima volta che ho sentito parlare di Jamie Oliver è stato diversi anni fa, verso la fine del liceo. Forse sarebbe più corretto dire che ho sentito parlare Jamie, piuttosto che sentir parlare di lui.
Io e mio fratello trascorrevamo le sonnolente ore del dopopranzo spiaggiati sul divano a guardare Gordon Ramsay sbatacchiare padelle, ululare insulti e coprire di f**k i terrorizzati concorrenti di una delle prime stagioni di Hell's Kitchen USA. Un giorno, facendo zapping durante una pausa pubblicitaria, ci siamo ritrovati davanti un altro inglese, sempre biondo ma un po' più giovane, che cucinava e assaggiava con l'espressione di un bambino la mattina di Natale, e invece di f**k continuava ad esclamare "beautiful!" o "glorious". Lì per lì il tutto mi era parso un po' comico.
Da italiana cresciuta in una famiglia in cui si faceva e si fa tutto in casa, dove l'insalata in busta è un abominio e se avevi fame per merenda mamma preparava "un attimo (cit.)" una torta, vedere un ragazzone inglese entusiasmarsi ed esclamare "amazing" difronte a un filo di olio di oliva era decisamente troppo.

Ho rivalutato l'impresa di Jamie Oliver qualche anno dopo (ormai quasi due anni fa), durante il mio semestre da studentessa Erasmus in Germania. Vagavo per i corridoi del supermercato piena di angoscia, perchè se la mia vita da fuorisede mi aveva da tempo abituata all'idea di un reparto surgelati grande quando il supermercato della mia cittadina d'origine, non ero pronta ad affrontare le file infinite di cibo in scatola, liofillizzato, le innumerevoli tipologie di salsine e zuppe pronte in tetrapack. Osservando sconsolata la spesa delle persone in fila davanti a me, mi rendevo conto che fuori dall'Italia, insegnare che anche in poco tempo si può cucinare cibo sano senza necessariamente ricorrere alle scatolette è in effetti un'impresa di tutto rispetto. E quando tornavo a casa con le mie buste della spesa, lo ammetto, a volte guardavo Jamie Oliver sul suo canale youtube ;)

Pochi dolci dicono comfort food come la torta alle mele, e se è un apple pie che ricorda tanto i dolci di Nonna Papera tanto meglio! Questa è la versione di Jamie Oliver, tratta dal libro Jamie's Comfort Food.
Con questa ricetta partecipo, con grande gioia ed emozione visto che lo seguo da tantissimo, allo Starbooks Redone di Novembre. Se qualcuno non sa cosa sia, lo trova qui.
E lo consiglio vivamente :)

Veniamo alla ricetta!

Ingredienti per 8 persone
Per la brisé
250 g di burro non salato molto freddo
350 g di farina 00 più extra per infarinare
1 cucchiaio di zucchero semolato
150 ml di acqua gelata
1 pizzico di sale
Per il ripieno
2 kg di mele (io ho usato metà Granny Smith e metà Renette)
1 limone
50 g di burro non salato
100 g di zucchero muscovado chiaro (io non ho trovato quello chiaro, quindi ho usato quello classico)
1 buon pizzico di cannella in polvere (ne ho usato più di un pizzico, ma aumenterei ancora la dose)
Per la rifinitura
1 uovo grande
20 g di zucchero Demerara (non ho trovato neanche il Demerara e quindi ho usato del semplice zucchero semolato)


Per preparare la pasta brisé tagliate il burro in dadini e metteteli in congelatore fino a che non siano belli freddi.
Mettete la farina con un bel pizzico di sale, lo zucchero ed il burro in un processore ed usate il pulse per ottenere un composto con grosse briciole (Io non ho un processore, quindi mi sono affidata unicamente alle mie mani. Prima di iniziare a impastare, comunque, le ho eroicamente raffreddate sotto un getto d'acqua gelata). Aggiungete l'acqua gelata ed attivate il pulse fino a che l'impasto non starà insieme (sono stata attenta ad aggiungere l'acqua un po' alla volta, e in effetti me ne sono serviti almeno 100 ml in meno di quanto suggerito nella ricetta). A questo punto usate le mani per compattare l'impasto e dividetelo in due parti tonde e piatte, avvolgetele nella pellicola e mettetele in frigo per 1 ora.
Nel frattempo, per il ripieno pelate e private del torsolo le mele, quindi dividetele in pezzi di ca. 1 cm di lato. Irroratele di succo di limone per evitare che si scuriscano.
Sciogliete il burro e lo zucchero muscovado in una larga padella quindi aggiungete la cannella.
Quando comincia a fare le bolle, aggiungete metà delle mele e fate cuocere per 10 minuti circa, mescolando (io le ho fatte cuocere un po' meno perchè le ho tagliate un po' più piccole e rischiavo che si spappolassero). Devono essere morbide ma non perdere la loro forma. Aggiungete quindi la restante metà e fatela cuocere per altri 4 minuti. Togliete dal fuoco e fate raffreddare completamente.
Preriscaldate il forno a 190°C.
Su una spianatoia infarinata stendete il primo pezzo di pasta, spolverandolo via via che stendete, fino a che non sia sottile c.ca 3 mm.
Arrotolate la sfoglia sul matterello quindi foderatevi uno stampo per pie da 26 cm di diametro precedentemente imburrato e infarinato. Fate sbordare la pasta sullo stampo.
Sbattete l'uovo e spennellate il il bordo della pasta.
Riempite con il ripieno e distribuitelo con delicatezza.
Stendete la rimanente pasta quindi srotolatela a coprire il ripieno, lasciando che si adagi naturalmente sulle mele quindi premete gentilmente sui bordi. Con un coltello eliminate la pasta in eccesso (con la quale potrete decorare la superficie), quindi premete i bordi con una forchetta o pizzicateli con le dita.
Spennellate tutta la superficie con l'uovo e segnate una croce al centro (io ho fatto un piccolo camino circolare), cospargete il tutto con lo zucchero demerata e fate cuocere per 50/60 minuti fino a che non sarà dorata.
Servite con cucchiaiate di crema voluttuosa.

 


Note personali:

  • Il risultato finale del dolce è ottimo, il sapore delle mele è deciso e avendo usato le Granny Smith la mia aveva una punta acidula che io ho trovato fantastica, soprattutto se si serve il dolce con una pallina di gelato (io lo avevo solo allo yogurt, ma immagino che "la morte sua" sarebbe con il gelato alla vaniglia o alla cannella).
  • Le dosi sono precise e perfette per le dimensioni dello stampo. Solo due piccole osservazioni: nel preparare la brisèe bisogna avere l'accortezza di aggiungere l'acqua poco alla volta, perchè è altamente probabile che non serva tutta quella indicata dalla ricetta. L'altra cosa è che un pizzico di cannella per due chili di mele mi sembra un po' poco, e infatti, nonostante io abbia aumentato la dose, nella mia apple pie la cannella non si sente molto.
  • Quest'ultima considerazione è assolutamente personale e prescinde dalla buona riuscita della ricetta. La quantità di burro utilizzata per la brisèe fa sì che il risultato finale sia quasi più simile ad una sfoglia (effetto probabilmente peggiorato dal fatto che io l'ho stesa un po' troppo sottile). Per il mio gusto personale, non essendo particolarmente amante del burro e di conseguenza nemmeno della sfoglia, avrei probabilmente preferito una pasta "più tradizionale". 


Comunque, sorvolando sulle stranezze del mio palato, la ricetta è ben spiegata e al primo colpo riesce un ottimo dolce, dunque non può che essere
PROMOSSA



lunedì 3 novembre 2014

Il lato oscuro del cuore - Corrado Augias

Leggendo questo libro mi sono ritrovata più di una volta a pensare che è incredibile che sia capitato tra le mani proprio a me, proprio in questo momento...
Ma in fondo forse quello che leggiamo in un libro dipende sempre dal nostro stato d'animo. Lo stesso libro letto due volte in due diversi momenti della vita non ci sembrerà mai uguale. Ci sarà sempre un dettaglio, una frase che ci tocca più profondamente della volta precedente. Perchè la vita è esperienza, e l'esperienza modifica radicalmente la nostra percezione del mondo.

A me Corrado Augias è sempre piaciuto, anche se lo associo più alla sua veste di giornalista o di saggista che a quella di romanziere. Ad ogni modo, sono ammirata dalla sua pacatezza e dalla sua capacità di scegliere sempre le parole giuste. Nè troppe nè troppo poche, sempre diretto ma mai sopra le righe. Quando, durante una delle mie spedizioni alla Feltrinelli, ho visto che Einaudi aveva appena pubblicato un suo romanzo, Il lato oscuro del cuore, non mi sono lasciata sfuggire l'occasione e l'ho subito comprato (e poi mi chiedo perchè il mio conto sia nelle attuali condizioni...!). Nessuno stupore nello scoprire che la penna di Augias è fluida quanto la sua voce. In oltre duecento pagine ho la sensazione di non aver letto una sola parola fuori posto. Un linguaggio che suona come uno spartito eseguito alla perfezione, senza una nota stonata.
Mi rendo conto che la mia ode alla lingua può far un po' sorridere, ma ammetto che coltivo una vera e propria ossessione per la pulizia nella scrittura. Odio dover leggere una frase due volte per riuscire a capirla, non sopporto la punteggiatura fuori posto e le ripetizioni. Il che fa sì che mi dia un enorme fastidio rileggere quello che scrivo, perchè ho sempre la sensazione che la mia scrittura sia poco fluida.. ma sto divagando!

Il lato oscuro del cuore ha come protagonista Clara, giovane laureata in Psicologia e appassionata studiosa di storia delle idee. In attesa di risposta a una domanda di dottorato, divide le sue giornate tra lo studio e i fallimentari tentativi di cercare un lavoro. Certo, questa è la mia parziale ricostruzione della vicenda, perchè il romanzo è molto altro, e anzi probabilmente ad un altro lettore apparirà tutt'altro. Questo è l'aspetto che ha più colpito me, e dev'essere perchè rispecchia esattamente la mia condizione attuale.
La narrazione si svolge su due piani, quello "alto" e distante dalla vita degli studi di Clara e quello "basso" della vita reale, enormemente più vera e difficile da affrontare. Eppure in un certo senso è la vita reale a prevalere: Clara si ritrova invischiata in situazioni che sono più grandi di lei e deve affrontarle con gli strumenti che i suoi studi le hanno dato. Ho trovato riuscitissimo il parallelo tra "i libri" e "la realtà": da un lato i grandi casi che hanno fatto la storia della psicanalisi, dall'altra le nevrosi, i traumi e le tragedie della vita quotidiana.

E poi il finale. Non saprei dire se mi ha lasciato o meno l'amaro in bocca, forse perchè sono ancora in attesa del finale della mia, di storia. Comunque sia, nel leggere di Clara che, confrontatasi con la realtà, "è stata delusa da se stessa", non ho potuto fare a meno di sperare, per me, in un finale diverso. Non resta che aspettare.