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venerdì 30 gennaio 2015

Panna cotta di Martha Stewart con topping al cioccolato e caffè

Mi ero sempre rifiutata di credere al luogo comune "tale madre, tale figlia".
Per quanto potessi accettare di buon grado che l'ambiente in cui cresciamo, e ancor più dunque i nostri genitori, ci influenzi in modo decisivo, non riuscivo a rassegnarmi all'idea che il mio Io (di qualunque cosa si tratti) fosse impotente difronte alla genetica.O forse, più precisamente, non potevo accettare il fatto che il mio Io
provasse l'irresistibile desiderio di imitare quello di mia madre. No, no e no! Nessuna imitazione, avevo una personalità, dei gusti e delle inclinazioni tutte mie. Ovvio.
E poi venne la vita adulta, e il conseguente crollo delle certezze. La prima volta che, vivendo da sola, ho pulito/cucinato/steso i panni esattamente come avevo visto fare a lei. La volta in cui, con sommo stupore, mi sono sentita ripetere quella parola che lei dice così spesso da farmi saltare i nervi (scusa mamma!), e per di più con la stessa intonazione. Il modo che ho di dire "Mmmm.." quando sto sentendo ma non sto ascoltando... Etc.etc. etc.

Cosa c'entra tutto ciò con la panna cotta, vi starete chiedendo. C'entra! Perchè la panna cotta rappresenta la mia vittoria sulla genetica, il trionfo del mio Io (qualunque cosa sia) su quello della genitrice. Per tutta l'infanzia e l'adolescenza ho adottato, quasi senza rendermene conto, i gusti di mia madre. Come lei, ripetevo che preferivo il panettone al pandoro, che non amavo le cozze e che non mi piaceva l'ananas. Inutile dire che oggi sono una grande estimatrice di tutti i cibi sopracitati :)
Ma la frase che ricorreva più spesso era la seguente: "Non mi piacciono i dolci al cucchiaio." Riesco quasi a rivedermi mentre ripeto, come un gigantesco pappagallo senza piume: "Non mi piacciono i dolci al cucchiaio." Non che li avessi mai assaggiati, ma d'altronde, se non piacevano a mamma dovevano essere pessimi!
Per fortuna la vita adulta si è avvicinata armata di cucchiaio, vincendo le mie resistenze a suon di creme caramel, budini, creme catalane e... Pannacotta!

E con questo sono arrivata alla ricetta del giorno, anche questa tratta da "Scuola di Cucina" di Martha Stewart. Non si tratta di una pannacotta tradizionale, perchè prevede l'aggiunta di yogurt, ma devo dire che la variazione non mi dispiace, anzi! Secondo me rende il risultato finale meno stucchevole, ma lascio a voi il giudizio finale.

Panna cotta di Martha Stewart con topping al cioccolato e caffè

Ingredienti
Per la panna cotta
2 fogli di colla di pesce
220 gr di yogurt bianco intero
70 ml di panna fresca
3 cucchiai di zucchero
1 pizzico di sale
semi di un baccello di vaniglia

Per il topping
cioccolato fondente
panna fresca
caffè espresso


Preparazione
Mettete i fogli di gelatina in ammollo in acqua fredda per 3-5 minuti. Mettete lo yogurt in una ciotola e sbattetelo per disfare i grumi. Mettete la panna, lo zucchero, il sale e i semi di vaniglia in un pentolino. Appena prima che prenda il bollore abbassate la fiamma e incorporate i fogli di gelatina strizzati nella panna, mescolando sul fuoco basso finchè non sarà completamente sciolta.
Aggiungete la panna allo yogurt e mescolate. Versate il composto così ottenuto negli stampini e mettere in frigorifero a rassodare per almeno due ore.

P.s. Per il topping ho semplicemente fatto sciogliere a bagnomaria il cioccolato fondente con un goccio di panna, e ho aggiunto poi qualche cucchiaio di caffè espresso. Vi consiglio comunque di prepararlo all'ultimo momento, altrimenti si solidifica e diventa inutilizzabile.

lunedì 26 gennaio 2015

Smith & Wesson - Alessandro Baricco



Ultimamente mi è capitato di chiedermi fino a che punto, in un romanzo, si possa lasciar spazio all’inverosimile senza evitare di ricadere nel ridicolo. Domanda strana, a ben pensarci, perché ogni opera letteraria si basa in fondo su una finzione, e farsi una domanda come quella di qui sopra equivarrebbe a chiedersi fino a che punto si debba mantenere il realismo in una finzione. Forse la questione va soltanto definita meglio. Ci ho pensato un po’, e credo che quando diciamo di un romanzo (o di un film, o di un pezzo teatrale) “non mi piace perché non è verosimile” stiamo o esprimendo un nostro gusto personale (è perfettamente normale che non a tutti piaccia il fantasy, o gli horror sugli zombie) o affermando il nostro fastidio per il fatto che il testo manca di coerenza interna. La coerenza interna è esattamente quel meccanismo che ci fa accettare di buon grado che Harry Potter voli su manici di scopa ma ci farebbe storcere il naso se in un romanzo realistico di Verga comparisse all’improvviso un cavallo alato.

Ma tutto questo riflettere sulla coerenza interna mi sta portando un po’ fuori strada e mi sto allontanando dal libro del giorno, Smith & Wesson, l’ultima fatica di Alessandro Baricco in forma di pièce teatrale.
Baricco, si sa, è abbastanza una sicurezza, ma a volte mi ha lasciata un po’ perplessa. Non vi nascondo poi che nutro un certo fastidio nei confronti di libri che si leggono in un’ora ma costano un piccolo capitale. Per fortuna anche questa volta non ho messo mano al portafogli ma mi sono limitata ad attingere dalle biblioteche altrui ;)
Prescindendo dalla mia crociata contro i prezzi troppo elevati dei libri, questa volta Baricco non mi ha delusa. A Smith & Wesson bisogna approcciarsi con una certa preparazione spirituale, o almeno io devo farlo ogni volta che leggo qualcosa che si discosti dalla definizione di romanzo. In questo caso, però, lo sforzo è più che meritato

E forse a questo punto è il caso di chiarire cosa c’entri la mia introduzione sulla verosimiglianza con il libro del giorno. C’entra perché leggendo il libro mi sono ritrovata a pensare: “Ma dai… è impossibile!” Ma poi mi sono resa conto che quello che leggevo non era impossibile, tutt’altro.
Era paradossale. E metaforico. Ed estremamente ben riuscito. Eh sì, perché tra inverosimile e paradossale c’è una differenza sottile che solo i grandi autori sanno sfruttare a loro favore. Non è per niente facile costruire una storia paradossale che sia al tempo stesso una metafora sulla vita e sulla morte. E poi… E poi mi sentirei in colpa a dire altro di un libro che si legge in così poco tempo!
Quindi per oggi basta così, e se avete un amico che ha comprato Smith & Wesson, correte a rubarglielo ;)

venerdì 23 gennaio 2015

Lonza di maiale arrosto - da "Scuola di cucina" di Martha Stewart



Cosa succede oggi? Dov'è la ricetta?
Se volete scoprirlo, e volete scoprire anche come si fa un arrosto di maiale perfetto, cliccate qui!
:)

lunedì 19 gennaio 2015

Il Cardellino - Donna Tartt





Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.                                       J.D. Salinger, Il Giovane Holden









È con una certa difficoltà che inizio a scrivere questo post oggi, e il motivo è che, nonostante siano passati diversi giorni, non sono sicura di essermi perfettamente ripresa dalla fase di profonda depressione che ha seguito la fine del libro del giorno. Avete presente quei libri dei quali inseguite l'ultima pagina, ma che al tempo stesso vorreste non finissero mai? Quando poi alla fine quell'ultima pagina arriva, mi ci soffermo sempre con più attenzione, quasi come se volessi trattenere per sempre nella memoria quegli ultimi istanti. Che poi, a ben pensarci, non ha nessun senso. Perché non riservare lo stesso trattamento a tutte le pagine precedenti? Perché leggere senza sosta, voracemente, per giorni e giorni e rallentare poi soltanto alla fine? Domande senza risposta. Quel che resta è la sensazione di vuoto e solitudine del momento in cui, dopo aver letto l'ultima parola, chiudo definitivamente il libro. È una sensazione rara, non sono molti i libri che sanno suscitarla.

Il Cardellino di Donna Tartt è uno di questi, e non a caso nel 2014 è stato premiato con il Pulitzer per la letteratura. Nonostante ne avessi già sentito parlare, non ero affatto convinta di volerlo leggere davvero, dal momento che le dimensioni imponenti (più di ottocento pagine nell'edizione inglese) sono abbastanza per scoraggiare anche il lettore più accanito. Quando infine mi sono decisa, e ho letto la prima pagina, non ce n'è stato più per nessuno. L'ultima frase va letta nel senso letterale. Iniziato a leggere non c'era niente riuscisse a distrarmi, ho trascorso intere giornate con gli occhi incollati alle pagine, ignorando il cellulare, rispondendo ai messaggi con pochi monosillabi e programmando la routine giornaliera in modo da avere più tempo possibile da dedicare alla lettura

Immagino che si sia capito che ho tutta l'intenzione di tessere le lodi di questo romanzo straordinario, il problema è che non so bene da dove cominciare. E l'operazione si complica ulteriormente visto e considerato che non voglio assolutamente svelare alcun dettaglio sulla trama. Io l'ho letto senza avere la minima idea di cosa parlasse, e credo che questa condizione di ignoranza abbia contribuito non poco a rendere indimenticabile questa lettura. Adesso censuro le mie elucubrazioni e provo a entrare nel merito senza rivelare i dettagli.

Riguardo all'ultimo libro avevo scritto che è sempre un rischio per un'autrice scegliere di affidare ad un personaggio maschile il ruolo di narratore. La Tartt trasforma questa scelta rischiosa in una risorsa straordinaria. Il cardellino è un romanzo al maschile: dal protagonista e voce narrante agli altri personaggi principali, le figure maschili dominano il romanzo con una naturalezza assoluta e un’incredibile varietà di profili psicologici. Da questo non si deve dedurre che non ci sia spazio per le donne. Al contrario le figure femminili, raccontate rigorosamente attraverso lo sguardo degli uomini, svolgono un ruolo fondamentale nell’economia del romanzo. E ho trovato straordinario il modo in cui, con finezza estrema, la Tartt lasci intuire (pur senza aver mai la possibilità di esplicitarlo) che la psiche delle donne sfugge in ultima analisi al tentativo di razionalizzazione degli uomini. Quasi come se non fossero in grado, questi ultimi, di tracciarne un ritratto fedele e completo. 

Un altro aspetto che mi ha colpita in positivo durante la lettura è la ricchezza di dettagli del romanzo. Grande intuizione, direte voi, che un romanzo di ottocento pagine sia molto dettagliato! Ma io trovo che la correlazione non sia scontata. E soprattutto è abbastanza facile che l’abbondanza di dettagli renda un testo noioso e pesante da leggere. In questo caso, invece, niente di più falso. Per questo mi sono stupita soltanto relativamente quando ho scoperto che la Tartt ha impiegato un decennio per scrivere Il Cardellino. Ma forse, a ben pensarci, dieci anni sono un periodo di tempo immenso, tanto più che l’opera ha uno stile così unitario ed è così armonica che potrebbe esser stata scritta in un giorno

Il fatto di non voler rivelare nulla sulla trama non vuol dire che debba rinunciare del tutto a parlare del contenuto. C’è un aspetto che, almeno a mio parere, domina il libro costringendo il lettore a continue riflessioni sulla natura dell’esistenza umana. È il costante confronto con le sliding doors della vita, con quel ricorso al cosa sarebbe successo se…? che fa così parte di noi e che è al tempo stesso così inutile. Quante volte, involontariamente, immaginiamo decorsi completamente diversi degli eventi a partire da un dettaglio che sembrava ininfluente? E se fossi uscita un’ora prima, se avessi aperto la posta, se non mi fossi fermata a leggere ancora un altro articolo del giornale…? La variazione più minuta può avere le conseguenze più enormi ed inaspettate.
E quanto più grandi saranno queste conseguenze, quanto più tragiche, tanto più incapaci saremo di smettere di pensare a quel momento (o a quei momenti), in apparenza così stupido e insignificante, che ha cambiato la nostra vita per sempre. E che effetto ha tutto questo, la consapevolezza dell’insensatezza del tutto, sulla nostra mente e sul nostro modo di vedere il mondo e di affrontare la vita? C’è qualcosa che resta, un punto fisso nel caos, a cui aggrapparsi?
Giuro che sono stata più pesante io nelle ultime righe che Donna Tartt in ottocentosessanta pagine. Quindi, solo un’ultima parola: leggetelo. E altre quattro: non ve ne pentirete.
Buon lunedì a tutti,
Rachele