Epifania. Fine delle feste
e ritorno alla routine. Nel mio caso, strano ma vero, il ritorno alla
routine coincide con la ripresa delle letture.
Se le vacanze di Natale
sono trascorse tra febbre, raffreddore e tantissima pigrizia, appena
salita sul treno per Pisa ho aperto il libro che avevo con me, e due
giorni dopo l'avevo già finito.
Una settimana fa, mentre
maledicevo Sky che con la sua offerta illimitata di film per tutte le
condizioni psicofisiche aveva fagocitato tutta la mia attenzione, ho
addirittura temuto di aver perso la mia sconfinata passione. Ma no,
direi che era un falso allarme: per adesso si può stare tranquilli
:)
Il libro di oggi è
Opinioni di un clown,
del
tedesco premio Nobel per la letteratura Heinrich Böll. Scelta, tanto
per cambiare, del tutto casuale: era l'unico libro presente in casa
che non avessi già letto e che abbia suscitato la mia curiosità. A
pensarci bene, avevo già iniziato a leggerlo una volta qualche tempo
fa, ma lo avevo abbandonato. Quando mio fratello mi ha vista con il
libro in mano ha commentato, lapidario: “Stai leggendo quello? Fa
schifo.”
Non
gli sto facendo una bella pubblicità, vero? Ma il motivo per cui sto
dicendo tutto questo è
che mi piacerebbe partire da queste reazioni per spiegare che sono
giustificabili alla luce della particolare struttura del romanzo. E
con questo non voglio dire che Opinioni
di un clown
sia noioso o “faccia schifo”. Tutt'altro. Solo che dopo averlo
letto capisco meglio le reazioni di cui sopra. Ma adesso entro nel
merito, altrimenti non si capisce più niente!
La
prima cosa che ho pensato leggendo il titolo è stata: “Come si
scrive un romanzo di opinioni?” Perché è facile immaginare che
sulle opinioni si possa costruire un saggio, un articolo, un
discorso. Ma per un romanzo, in cui l'azione svolge un ruolo
fondamentale, l'operazione mi sembrava estremamente rischiosa.
Il
titolo dunque suggerisce già che l'azione non sarà la protagonista
del romanzo, e in effetti in duecentocinquanta pagine succede davvero
poco. Contemporaneamente, però, si ha la sensazione di assistere ad
una serie infinita di episodi. Com'è possibile? Sono le opinioni, i
ricordi, a fare il romanzo. Bisogna distinguere due piani: quello del
“presente”, che sarebbe quindi quello dell'azione, e quello del
“passato”, delle opinioni e dei ricordi.
Il
presente, a prima vista, offre ben poco: il protagonista è un clown
caduto in disgrazia dopo aver perso l'amore della sua vita. Il giorno
dopo un'esibizione disastrosa, rimane chiuso in casa con un ginocchio
dolorante, telefonando ad amici e conoscenti in cerca di aiuto.
Ma
c'è altro. Il presente è una dimensione ricca di dettagli, ognuno
dei quali offre un appiglio per viaggiare nel passato. Ad ogni gesto,
a ogni luogo e ad ogni abitudine è legato un ricordo preciso,
un'opinione costruita attraverso l'esperienza. L'abilità
straordinaria di Böll
è
di saper legare alla perfezione i due piani, tanto che ogni volta che
ci si perde nei ricordi del clown non si ha alcuna difficoltà nel
tornare poi, quando l'autore lo decide, alla realtà, al presente. E
proprio sul contrasto tra realtà e finzione si gioca un altro
aspetto fondamentale del romanzo, ma non voglio stare qui ad annoiare
tutti con la critica letteraria, quindi lascio perdere :)
Quello
che voglio aggiungere è che c'è in effetti un elemento che potrebbe
rendere difficoltosa la lettura, ed è il fatto che il romanzo è
profondamente radicato nella cultura tedesca. Böll scrive nel
secondo dopoguerra, nella fase in cui il senso di responsabilità e
di colpa per i crimini di guerra giungevano al culmine. Sono dunque
piuttosto numerosi i riferimenti alla situazione sociale, politica e
culturale del tempo, il che per una tedescofila come me va benissimo,
ma per qualcun altro può non essere così allettante!
A
voi la scelta finale :) Se fossi in voi, un tentativo lo farei! Per
me ne è valsa la pena.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaHo appena scoperto il tuo blog e mi sono immediatamente dedicata alla lettura di questo post che hai scritto su un libro che mi ha lasciato una grande amarezza, pur non dispiacendomi. Hai ragione nel dire che molti aspetti sociali rendono difficile la piena comprensione del testo e possono risultare, anzi, pesanti (lo stesso mi era già accaduto con E non disse nemmeno una parola sempre di Böll. Di questo testo ho apprezzato soprattutto la scelta di fare del clown, la figura che per eccellenza si presta al gioco e al trucco, colui che smaschera i vizi e i controsensi della società. Un libro che, insomma, vale la pena conoscere. Buone letture e alla prossima! Cristina
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